Il narratore racconta le vicissitudini conclusesi con la
scomparsa del suo amico Denys Barry.
Questi, originario dell’Irlanda, aveva fatto fortuna negli
Stati Uniti e adesso tornato a Kilderry aveva riacquistato il vecchio castello
che un tempo era appartenuto alla sua famiglia e lo aveva riportato al suo
antico splendore.
Dopo alcuni mesi Barry invitò l’amico me mostrargli i suoi progressi
e per trovare sostegno a causa delle maldicenze e superstizioni legate a quel
luogo che lo avevano messo in cattiva luce agli occhi della popolazione locale.
Giunto l’amico gli fu mostrato il castello, il piccolo
villaggio adiacente (occupato dagli operai dato che i paesani erano andati via)
e la palude. Questa, secondo le intenzioni di Denys, sarebbe stata bonificata
ed il terreno avrebbe ospitato campi e orti.
Molte erano le leggende su quel luogo e del rudere sull’isolotto
al centro della palude dove risiedeva uno spirito maligno. Si parlava di luci
che danzavano nelle notti illuni e di venti gelidi che si alzavano nelle sere d’estate.
Figure ammantate che fluttuavano sull’acqua e un’immaginaria città di pietra in
fondo all’acquitrino.
In un’epoca favolosa la pestilenza aveva decimato i figli di
Partholan e nel Libro degli Invasori
veniva detto che quei discendenti dei greci fossero tutti sepolti a Tallaght,
ma voci sostenevano che una delle loro città, qui a Kilderry, fosse
sopravvissuta grazie alla protezione della luna e che una frana l’avesse
sepolta quando dalla Scizia erano arrivati i nemediani sulle trenta navi.
La prima notte il narratore
che alloggiava in una delle torri fu destato da suoni in lontananza e
sognò una magnifica città che sorgeva in una valle verdeggiante. Ricca di
strade, statue, ville, templi con iscrizioni che inneggiavano alla grandezza
greca.
La notte seguente, ormai confuso se queste fossero visioni
reali o solo un sogno, vide dalla sua finestra al posto della palude la città meravigliosa
e fu colpito da quegli incessanti suoni che riconobbe essere di flauti e delle
strana attività che di notte si teneva al villaggio: una fantasmagoria di
figure danzanti. Poi la valanga e la città fu sommersa. Al tempio, l’anziana
sacerdotessa Cleis, giaceva immobile e fredda con una corona d’avorio sulla
testa.
Il giorno dopo andò a visitare il villaggio con l’amico che
sosteneva che gli operai stessero diventando sempre più pigri. Questi infatti
sembravano assonnati e stanchi senza ricordare bene il perché. Quello che
credevano di ricordare era un sogno confuso e una musica.
La notte successiva fu ridestato dalla solita musica che
adesso assumeva un ritmo incessante. Un bagliore rosso, penetrando dalla finestra,
illuminava la stanza. Si vestì prendendo la pistola e il cappello ma
inizialmente non volle vedere cosa stesse accadendo. Poi si affacciò:
sulla palude pioveva un diluvio di luci sanguigne e sinistre
e al posto delle rovine si ergeva un maestoso edificio, nuovo, cinto da colonne
dove al suo interno potevano scorgersi figure nere in movimento. Queste danzavano
al ritmo di tamburi. In parte scivolando, in parte galleggiando nell’aria, le
naiadi vestite di bianco si ritiravano lentamente verso il tempio sull’isolotto.
Esse suonando i loro flauti attiravano gli operai instupiditi dal sonno verso
le acque della palude. Essi s’immersero e sprofondarono. La stessa cosa accadde
ai servitori che risiedevano nel castello. Quando tutti sparirono in un vortice
di bolle, la musica tacque e i bagliori si spensero.
Fisicamente prostrato perse i sensi, per poi ridestarsi dall’echeggiare
di urla. Fu investito da una spettrale e gelida corrente che lo indusse alla
fuga.
Mentre si allontanava in fretta costeggiando la palude fu
colpito dall’inusuale gracidare di grossi rospi, di cui solo adesso l’acquitrino
si era popolato ed infine vide, nel chiarore della luna che non si rifletteva
sulle acque, sull’isolotto un’ombra sottile che si contorceva e lottava contro demoni invisibili. L’effige
blasfema di colui che era stato Denys Barry.
Il racconto fu letto ad alta voce dall’autore in occasione
di un convegno di soci della stampa dilettante a Boston (marzo 1921, pochi
giorni dopo averlo scritto) ottenendo un riscontro positivo del pubblico.
So cool
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