Il racconto è una confessione del protagonista nei suoi
ultimi anni di vita. Egli preferire mantenere celato il suo nome e le sue
origini. D'altronde egli afferma di essere emigrato negli Stati Uniti per
lasciare il suo passato alle spalle. Un tempo era stato sotto le armi in India
ed avendo sondato le dottrine d’Oriente si sentiva più a suo agio tra i barbuti
maestri orientali che non tra i colleghi dell’esercito.
Nell’estate e nell’autunno del 1894 viveva nelle distese aride
delle Cactus Mountains lavorando come semplice operaio presso la famosa miniera
Norton. Una grotta d’oro profondamente
nascosta sotto un lago di montagna. Si erano scoperte altre grotte e il
soprintendente, un certo signor Arthur, ipotizzava sulla probabile estensione
della rete di caverne. Un esercito di miniatori lavorava notte e giorno.
Il messicano Juan Romero giunse alla miniera poco dopo il
protagonista. In lui non c’era niente del conquistador castigliano o del
pioniere americano ma dell’antico e nobile azteco. Il taciturno peone si alzava
la mattina presto e seguiva affascinato il sorgere del sole fra le montagne
tenendo le braccia tese verso l’astro come in una sorta di rito. Sporco ed
ignorante proveniva da un ambiente bassissimo. Da bambino era stato trovato in
una rozza capanna di montagna unico superstite d’un epidemia. I corpi dei
probabili genitori erano stati spolpati dagli avvoltoi e ritrovati in una
strana fenditura nella roccia poco lontana dalla capanna. In seguito una valanga
distrusse ogni traccia della scena. Fu allevato da una famiglia di ladri di
bestiame che gli diede il nome di Juan.
L’attaccamento che provava per il protagonista era dovuto
all’antico e curioso anello indù che portava nei momenti di riposo. Il curioso
messicano lo guardava affascinato. I bizzarri geroglifici che coprivano l’anello
sembravano risvegliare nella sua mente qualche vago ricordo, anche se non era
possibile che li avesse visti altrove.
18 e 19 ottobre 1894
Durante le operazioni di ampliamento della miniera si fecero
esplodere delle cariche talmente potenti che incresparono il lago Jewel. Le indagini
dimostrarono che sotto la sede dello scoppio si era aperto un abisso senza
fondo. Nessuna lampada riusciva ad illuminarla e nessuna corda poteva toccarne
il fondo. Gli operai si rifiutarono di lavorare in quell’ambiente.
Alle due del mattino un coyote cominciò ad ululare. Un temporale
si annunciava oltre le cime delle montagne e le nuvole dalle forme fantastiche
coprivano la luna a tre quarti.
Il protagonista fu svegliato da Romero agitato.
- “Madre de Dios! … el sonido … oiga Vd! Lo oye Vd?”
Cercò di capire a cosa si riferisse e alla fine capì:
- “El ritmo … el ritmo de la tierra … Quelle pulsazioni nel
terreno ”.
Gli venne in mente un brano di Joseph Glanvill citato da
Poe:
“La vastità, profondità e imperscrutabilità dell’opera Sua,
più profonda del pozzo di Democrito”
Romero balzò dalla cuccetta e si fermò a fissare l’anello
che brillava in modo strano a ogni lampo, poi si diresse verso la miniera. I due
giunsero alla miniera senza essere visti. Mentre scendevano nel pozzo il ritmo
pulsante si fece articolato come un battere di tamburi e un coro di molte voci.
Percorrendo sale e corridoi si accorse di poter vedere pur non avendo con se
lampade e si rese conto che l’anello emanava uno strano lucore innaturale,
rischiarando debolmente l’aria umida e soffocante. Una nota diversa, pazzesca,
si era insinuata nella melodia. Romero cominciò a correre. Rimasto solo poteva
sentirlo urlare esprimendosi in una lingua del tutto sconosciuta.. l’unica parola
che riuscì a decifrare fu “Huitzilopotchli” che in seguito rintracciò nell’opera
del grande storico (Prescott, Conquest of Mexico) rabbrividendo per le
implicazioni che suggeriva.
Arrivato dove si apriva l’abisso, la luce dell’anello si
spense mentre un’altra si accese nelle viscere della terra. Un pandemonio di
fiamme ondeggianti e orrendi rumori. Prima una vaga chiazza luminosa poi dalla
confusione cominciarono a staccarsi delle sagome tra le quali vide … Romero. Svenne.
Si risvegliò nella sua branda all’alba. A pochi metri da lui
il cadavere di Juan Romero steso su un tavolo circondato da un gruppo di
uomini. La morte fu attribuita al lampo che aveva compito e fatto tremare le
montagne. Il temporale aveva generato una valanga che aveva richiuso la
voragine. In seguito tentarono di scavare per riaprirla senza alcun esito per
cui infine abbandonarono il progetto.
Il suo anello era spiegabilmente sparito e non fu più
ritrovato.
Ormai dopo anni … “ritengo che si sia trattato di un sogno e
niente più … ma a volte in autunno sento il maledetto pulsare della terra …
allora ho la certezza che la scomparsa di Juan Romero sia stata, in realtà, una
fine atroce”.
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