Sedibus ut saltem placidis in morte quiescam
"Affinché almeno nella morte io possa
riposare in una dimora tranquilla”
(Eneide – Incontro con Palinuro 331-383)
Il racconto narra delle vicende di Jervas Dudley.
Egli in prima persona racconta la sua vita fin al suo
internamento in manicomio.
Di carattere schivo, Jervas trascorse la sua infanzia e
adolescenza nella solitudine trovando sollievo in numerose letture e solitarie
escursioni in campi e boschi delle sue proprietà.
Ho detto di essermi
appartato da questo mondo, ma non di averlo fatto da solo. Nessun essere
umano lo può, e se gli manca la
compagnia dei vivi cercherà quella di chi non lo è o non lo è più.
Un giorno durante le sue escursioni s’imbatte nella tomba
scavata sul fianco di una collina appartenuta agli Hyde, una famiglia decaduta e dal passato oscuro di
cui egli era il discendente.
Questa tomba di granito corroso dall’intemperie è chiusa da
una massiccia porta di pietra. Seppur serrata dai massicci cardini arrugginiti e
da numerose catene con lucchetto, essa rimane perennemente socchiusa la sciando
un piccolo spiraglio dal quale non si vedono che tenebre ma rimane comunque
impossibile accedervi.
Il ragazzo cominciò a frequentare spesso quel luogo tentando
di forzare i lucchetti e cercando di scoprire cosa si celasse in essa. Studiò la
storia di quella famiglie (racconti di riti misteriosi e sacrileghe baldorie) e
le cause che portarono alla distruzione della villa i cui resti giacevano nella radura nei pressi della collina. Un fulmine seguito da un incendio condusse alla morto l’ultimo
degli Hyde.
Ogni tentativo di aprire la tomba fu vano. Imbattutosi nella
lettura delle Vite di Plutarco fu impressionato da un brano sulla vita di Teseo
dove si parla della gran pietra sotto la quale l’eroe avrebbe trovato gli
strumenti del suo destino, ma solo quando fosse diventato abbastanza grande da
sollevarla.
Così si disse che non era ancora il tempo per svelare quel
mistero.
Intanto il suo comportamento assumeva aspetti sempre più
strani. Passava le notti vagabondando per i cimiteri sentendo strane voci. Raccontava
aneddoti macabri su cadaveri che si rivoltavano nella tomba, e spesso si addormentava
davanti l’ingresso della tomba abbandonata.
Un giorno di questi, svegliato da quella che credette essere
una luce proveniente dal suo interno, come guidato da una strana forza, tornò a
casa e in una cassa trovò la chiave.
Aprì e scese nella cripta. Numerose bare sigillate in
diverso stato di conservazione, tra queste lesse la targa di Sir Geoffrey Hyde,
venuto nel Sussex nel 1640 e morto pochi anni prima.
Vicino vi era un’altra bara aperta e in buono stato con inciso
solo un nome di battesimo. Un impulso inspiegabile lo portò a spegnere la
candela e sdraiarvisi dentro.
Per lui divenne un ossessione recarsi alla cripta ed il suo
comportamento continuava ad essere sempre più preoccupante. Il suo linguaggio
diventò più arcaico sfoggiando un’erudizione straordinaria e spesso componeva
versi leziosi e indecenti. Inoltre in quel periodo sviluppò un innato
terrore del fuoco e dei temporali.
I genitori preoccupati incaricarono un servitore di seguirlo
nei suoi girovagare. Da prima temette di essere stato scoperto ma la spia
riferì soltanto che il giovane si era intrattenuto nella radura ai piedi della
collina. A quanto pare non aveva visto nel la tomba ne egli che vi entrava.
Una notte si presentò a Jarvas uno spettacolo insolito.
La dimora distrutta ormai da più di un secolo si mostrava in
tutto il suo splendore e un numeroso stuolo di ospiti occupava le stanze
illuminate. Si mescolò alla folla ed entrò alla festa dove si lascò andare al
turpiloquio e alle bestemmie.
D’un tratto ci fu un tuono e divampò un incendio. Nel caos
Jarvas rimase pietrificato mentre tutti fuggivano e le fiamme lo divoravano. Quando
si riprese, ridestandosi da quella che era un’allucinazione, si trovò tra le
braccia di due uomini mentre il padre osservava addolorato alla scena,
soprattutto quando Jarvas cominciò ad urlare di voler essere sepolto nella
tomba.
Nel punto in cui si abbatté il fulmine fu rinvenuta una
scatola contenete numerose carte e oggetti di valore tra cui una statuetta in
porcellana raffigurante un giovanotto con parrucca a boccoli del Settecento con
iniziali J.H.
Il giorno dopo fu internato.
I medici provarono compassione sentendo il suo racconto, per
giunta senza una prova tangibile dato che la cripta risultava chiusa e non
forzata e la chiave perduta. Alcuni testimoni affermano di aver visto il
ragazzo recarsi alla radura ma mai entrare nella tomba.
Hiram, un fedele servitore afferma di aver forzato la porta
ed essere entrato. Li ha trovato una tomba vuota con una targa d’argento con su
inciso “Jarvas”. "In quel loculo e in quella bara hanno promesso di seppellirmi".
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