sabato 28 aprile 2012

La tomba (1917)


Sedibus ut saltem placidis in morte quiescam
"Affinché almeno nella morte io possa riposare in una dimora tranquilla”
(Eneide – Incontro con Palinuro 331-383)

Il racconto narra delle vicende di Jervas Dudley.

Egli in prima persona racconta la sua vita fin al suo internamento in manicomio.
Di carattere schivo, Jervas trascorse la sua infanzia e adolescenza nella solitudine trovando sollievo in numerose letture e solitarie escursioni in campi e boschi delle sue proprietà.
Ho detto di essermi appartato da questo mondo, ma non di averlo fatto da solo. Nessun essere umano  lo può, e se gli manca la compagnia dei vivi cercherà quella di chi non lo è o non lo è più.

Un giorno durante le sue escursioni s’imbatte nella tomba scavata sul fianco di una collina appartenuta agli Hyde,  una famiglia decaduta e dal passato oscuro di cui egli era il discendente.
Questa tomba di granito corroso dall’intemperie è chiusa da una massiccia porta di pietra. Seppur serrata dai massicci cardini arrugginiti e da numerose catene con lucchetto, essa rimane perennemente socchiusa la sciando un piccolo spiraglio dal quale non si vedono che tenebre ma rimane comunque impossibile accedervi.

Il ragazzo cominciò a frequentare spesso quel luogo tentando di forzare i lucchetti e cercando di scoprire cosa si celasse in essa. Studiò la storia di quella famiglie (racconti di riti misteriosi e sacrileghe baldorie) e le cause che portarono alla distruzione della villa i cui resti giacevano nella radura nei pressi della collina. Un fulmine seguito da un incendio condusse alla morto l’ultimo degli Hyde.

Ogni tentativo di aprire la tomba fu vano. Imbattutosi nella lettura delle Vite di Plutarco fu impressionato da un brano sulla vita di Teseo dove si parla della gran pietra sotto la quale l’eroe avrebbe trovato gli strumenti del suo destino, ma solo quando fosse diventato abbastanza grande da sollevarla.
Così si disse che non era ancora il tempo per svelare quel mistero.

Intanto il suo comportamento assumeva aspetti sempre più strani. Passava le notti vagabondando per i cimiteri sentendo strane voci. Raccontava aneddoti macabri su cadaveri che si rivoltavano nella tomba, e spesso si addormentava davanti l’ingresso della tomba abbandonata.

Un giorno di questi, svegliato da quella che credette essere una luce proveniente dal suo interno, come guidato da una strana forza, tornò a casa e in una cassa trovò la chiave.
Aprì e scese nella cripta. Numerose bare sigillate in diverso stato di conservazione, tra queste lesse la targa di Sir Geoffrey Hyde, venuto nel Sussex nel 1640 e morto pochi anni prima.
Vicino vi era un’altra bara aperta e in buono stato con inciso solo un nome di battesimo. Un impulso inspiegabile lo portò a spegnere la candela e sdraiarvisi dentro.

Per lui divenne un ossessione recarsi alla cripta ed il suo comportamento continuava ad essere sempre più preoccupante. Il suo linguaggio diventò più arcaico sfoggiando un’erudizione straordinaria e spesso componeva versi leziosi e indecenti. Inoltre in quel periodo sviluppò un innato terrore  del fuoco e dei temporali.
I genitori preoccupati incaricarono un servitore di seguirlo nei suoi girovagare. Da prima temette di essere stato scoperto ma la spia riferì soltanto che il giovane si era intrattenuto nella radura ai piedi della collina. A quanto pare non aveva visto nel la tomba ne egli che vi entrava.

Una notte si presentò a Jarvas uno spettacolo insolito.
La dimora distrutta ormai da più di un secolo si mostrava in tutto il suo splendore e un numeroso stuolo di ospiti occupava le stanze illuminate. Si mescolò alla folla ed entrò alla festa dove si lascò andare al turpiloquio e alle bestemmie.
D’un tratto ci fu un tuono e divampò un incendio. Nel caos Jarvas rimase pietrificato mentre tutti fuggivano e le fiamme lo divoravano. Quando si riprese, ridestandosi da quella che era un’allucinazione, si trovò tra le braccia di due uomini mentre il padre osservava addolorato alla scena, soprattutto quando Jarvas cominciò ad urlare di voler essere sepolto nella tomba.
Nel punto in cui si abbatté il fulmine fu rinvenuta una scatola contenete numerose carte e oggetti di valore tra cui una statuetta in porcellana raffigurante un giovanotto con parrucca a boccoli del Settecento con iniziali J.H.

Il giorno dopo fu internato.
I medici provarono compassione sentendo il suo racconto, per giunta senza una prova tangibile dato che la cripta risultava chiusa e non forzata e la chiave perduta. Alcuni testimoni affermano di aver visto il ragazzo recarsi alla radura ma mai entrare nella tomba. 

Hiram, un fedele servitore afferma di aver forzato la porta ed essere entrato. Li ha trovato una tomba vuota con una targa d’argento con su inciso “Jarvas”. "In quel loculo e in quella bara hanno promesso di seppellirmi".     

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