“Arrivato a i miei ultimi giorni, e spinto verso la follia
dalle atroci banalità dell’esistenza, cercai la salvezza nel meraviglioso
rifugio del sonno”.
Sognai antichi giardini e boschi incantati. Un’altra volta
salpai senza meta sotto costellazioni ignote. Un’altra volta m’imbarcai su una
chiatta lungo un torrente senza sole, un fiume sotterraneo che sfociava in un
altro mondo. Crepuscoli purpurei, pergolati multicolore, rose immobili e valli
dorate.
Giunsi ad un muro possente coperto di rampicanti dove si
apriva un piccolo cancello di bronzo.
Ho vagato tanto per luoghi magici ma la meta delle mie
fantasie era sempre la stessa, oltrepassare il cancello.
Una notte, nella città di sogno di Zakarion, trovai un
vecchio papiro scritto dai saggi onirici. Tra le tante cose si parlava della
valle dorata e del cancello di bronzo e due erano le ipotesi su cosa vi fosse
oltre (Prodigi meravigliosi o cose orribili e inganni).
Venni a sapere di una droga capace di farmi superare il
cancello. La presi, ed infatti trovai il cancello socchiuso.
Mentre lo aprivo una pioggia di luce rischiarava grandi
alberi e la sommità di templi sepolti.
Ma non appena il cancello fu aperto tutto divenne il vuoto
luminoso dello spazio disabbitato e illimitato. Più felice di quanto avrei mai
creduto mi sono dissolto nuovamente nell’oblio infinito, da cui il demone della
vita mi aveva chiamato per una breve e sconsolata ora (il tempo della vita).
Nota - Uno dei numerosi “prose poems” e racconti dunsaniani
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